L’inizio del viaggio

Lucio Dalla: l'inizio del viaggio
Funziona così.
Ci sono persone alla continua ricerca di qualcosa. O di qualcuno.
In un preciso momento iniziano un viaggio.
Come quel bambino di 7 anni in via dell’Arcangelo 1 a Manfredonia, in Puglia, che sdraiato su un lettino in una sera d’estate fissa il soffitto.
Come quell’uomo sulla cinquantina con un cappello in testa che poco più in là nel porto di Manfredonia è assorto a guardare il silenzio e ascoltare il buio.
Guardare il silenzio e ascoltare il buio.
Può sembrare una poesia, o una stronzata.
Che ci crediate o no, lui è in grado di farlo perché è Lucio Ferdinando Romeo Dalla.
Quell’uomo e quel bambino sono la stessa persona, nella stessa città ma in due momenti diversi.
E questa è la storia dell’inizio del loro viaggio.
Perché vi racconto questa storia? Perché oggi è l’anniversario della nascita di Lucio Dalla, che cazzo di domande. Dobbiamo sfruttare il trend come avvoltoi, come brutte persone.
In realtà sono molto legato personalmente a Lucio Dalla per tanti motivi. Questa cassetta è il primo motivo. RCA 1986: “Quel Fenomeno di Lucio Dalla”. Il secondo è un estratto di una sua intervista inedita da cui è stratta questa storia.
È l’estate del 1950 a Manfredonia, un piccolo comune bagnato dal mare calmo dell’omonimo golfo.
La stazione è stata inaugurata da poco ed arriva in centro fino a corso Manfredi. Le palme fanno ombra alle carrozze. Poche macchine, più che altro camioncini parcheggiati vicino alle stazioni di benzina Agip e Esso segnalate dalle prime imperiose insegne dell’epoca.
Un gruppo di bambini tra i 7 e gli 8 anni attende impaziente l’arrivo di un treno.
Un gruppo di bambini tra i 7 e gli 8 anni attende impaziente l’arrivo di un treno.
Lucio è attaccato al finestrino del treno. I suoi occhi sono lontano, fissano incantati il paesaggio che scorre accompagnato dal ritmo delle ruote sulle rotaie.
Da quel finestrino lui aspetta di vedere solo una cosa: il mare.
La stessa unica e potentissima immagine che vede il carcerato nella canzone “La casa in riva al mare”. La storia di un grande amore, la storia di un’illusione.
Cosa può provare un bambino che a sette anni perde il padre? Ve lo siete mai chiesto?
Il treno è partito da Bologna e porterà Lucio a Sud, finalmente.
In quella che per lui diventerà una seconda terra, anzi molto di più: un luogo dell’anima.
Aspetta questo momento da quando è entrato nel collegio. La madre Iole lavora tanto. Viaggia spesso e durante il periodo invernale è costretta a mandare Lucio in collegio. Gli sembra una prigione. Me lo immagino costretto a stare fermo e seguire le regole. Una tortura per lui.
Nel treno è seduto in braccio alla mamma, con la guancia appoggiata sulla mano. Nella sua testa ritornano ancora le parole della mamma in quel giorno non tanto tempo fa in cui morì il babbo:
“Si è spenta una luce”
Eravamo uno di fronte all’altra.
Mia mamma mi annunciava così con pietà dolcezza e,
perché no, anche un poco di poesia quello che io intuivo
come solo un bimbo di sette anni può fare.
Avvertivo come già chiusa la ferita che aveva provocato
alla mamma la morte del babbo e non so per quale
misteriosa ragione non scattava il mio dolore di orfano,
per cui mi sentii obbligato a dare una risposta che la tranquillizzasse,
che testimoniasse nello stesso tempo e perentoriamente
il mio essere diventato adulto, capo di famiglia.
con la stessa pietà e con lo stesso amore le buttai le braccia
al collo e le dissi: dove andiamo quest’estate al mare?
Il treno arriva scortato dal suo lento corredo di suoni magnifici e immortali, si aprono le porte. I bambini allungano le teste per cercare di scoprire se oggi è il giorno in cui finalmente rivedranno il loro amico bolognese. Il giorno in cui si può dire che comincia l’estate.
Si perché Lucio è un po’ il loro beniamino. Un bambino piccoletto ma in grado di rallegrare ogni giornata, come un consumato attore da palcoscenico. E tutto sommato è così. In fin dei conti Lucio calca il palcoscenico da quando ha 4 anni, anzi da già a 3 anni inizia la sua carriera.
Le modelle venute dal nord scendono dal treno precedendo Iole Melotti e il piccolo Lucio in braccio.
Ecco gli amici. Li abbraccia, in particolare “Sciurill” al secolo Tonino Tomaiuolo che sarà compagno di mille malefatte fino a 15 anni.
Poi sale su una delle due carrozze che lo porteranno in via dell’Arcangelo 1 in quella casa vicino al porto, nel mezzo tra il Ristorante “Dancing Pastore” e il cinema Impero o come lo chiamavano alcuni, cinema “Murgo”.
Lucio ha il permesso o “si prende il permesso” di entrare e uscire dal cinema a piacimento, dal momento che gli basta scavalcare il balcone di casa per trovarsi nella galleria. E già pensa agli inseguimenti, alle male parole e ai calci nel culo che gli darà Nicola Casalino detto “u marescialle”, uno dei gestori del cinema.
Più avanti negli anni, “U Marescialle Casaline” sarà una di quelle persone che Lucio saluterà ogni volta che rimette piede a Manfredonia, perché alla fine il Maresciallo gli voleva un gran bene, come tutti qui.
Lucio scende dalla carrozza. Il suo amico Vittorio Tricarico è lì sul balcone che lo aspetta. In breve sono al mare, sulla spiaggia, il grande palcoscenico dove Lucio può dare il meglio con le sue recite e le sue esibizioni canore in coppia con la chitarra di Gino Sapone. Ma soprattutto è il luogo dove finalmente si diverte, dove gioca.
Nel 1971 quando Lucio lavora alla copertina del singolo 4 Marzo 1943 che cambierà radicalmente la sua carriera, non solo vuole l’immagine del porto di Manfredonia ma chiede di indicare un punto ben preciso. Molte sono le leggende nate su quel punto ma la spiegazione la dà lo stesso Lucio confidandola a Francesco Logoluso, con cui sta lavorando.
“Lucio perché quel punto preciso?”
“Perché? Perché lì ci ho giocato.”
Nel primo pomeriggio manfredoniano – verso le 15 per intenderci – ci sono solo le cicale a cantare, come del resto in tutti i paesini del sud Italia.
Negli anni ‘50 a fare compagnia alle cicale c’è anche Lucio che canta una canzone imitando molto bene i cantanti americani interpreti delle commedie che proiettano al cinema Impero. L’amico Vittorio è accanto a lui appoggiato sul muretto che circonda il fossato del castello. Rimane incantato e allo stesso tempo stupito. Gli chiede
“Dove hai imparato l’inglese così bene?”
Lucio sfoggia una dei suoi sorrisi e poi confessa:
“Io non conosco una sola parola di inglese, io invento le parole;
l’importante è che rispettino la rima musicale”
La giornata vola come voleranno tutte quelle a seguire. Alla sera con il fresco si aprono le porte del cinema all’aperto. Daranno 3 spettacoli.
A Lucio basterebbe poco per poter entrare in sala e vederli, un salto ed è in galleria. Ma già a sette anni, non è un’anima convenzionale. Ha un modo tutto suo di fare le cose.
Preferisce rimanere sdraiato sul letto.
La giornata è stata intensa e piena, quanto basta per tenersi impegnato, quanto basta per non ritrovarsi a pensare. Cala la sera e cala anche il buio.
Cosa pensa un bambino di sette anni al calar della sera? Ve lo siete mai chiesto?
Lucio è sdraiato e guarda il soffitto. Inizia il film: Vita da cani con Marcello Mastroianni.
Rimane lì ad ascoltare il film. Proiettando sul soffitto il suo film.
È qui che inizia il suo personalissimo viaggio, fatto di invenzioni, suggestioni, suoni, pensieri, modi di fare del tutto fuori dagli schemi.
Ascolta la voce del protagonista, la voce di Marcello Mastroianni, una voce che gli sembra calda, profonda, protettiva. Una voce di cui si fida, di cui forse ha bisogno.
Sono molte le storie e le persone che raccontano di quanto Lucio abbia sempre cercato di affiancarsi a figure paterne come Cremonini, il suo produttore, Tobia il suo manager, Roberto Roversi, il suo maestro paroliere.
Forse per colmare quel vuoto, per mandar via quel senso di abbandono.
Mi chiedo quale sia il film che immaginava Dalla su quel letto. Se tornassi indietro glielo chiederei.
Ma la vita non segue il copione che puoi immaginare sdraiato su un lettino.
Lucio non si è mai fermato e ha continuato a riscrivere il film ogni volta che la vita non seguiva la sceneggiatura, soprattutto quando nessuno credeva in lui.
Aveva le dita troppo corte per suonare il piano, non conosceva abbastanza la musica per comporre, aveva un fisico lontano da ogni canone, non aveva una cultura da intellettuale.
Eppure è diventato una dei più grandi cantautori della musica italiana.
Sono gli anni ’90, siamo lontani da quelle sere sul lettino di Manfredonia. Lucio è ormai affermato eppure rimangono momenti in cui sente la necessità di rivedere una cosa sola: il mare.
E allora è normale una sera qualsiasi d’inverno trovarlo da solo nel porto di Manfredonia con il suo cappello e lo sguardo rivolto ad ascoltare il buio e guardare il silenzio.
Uno sguardo che continua a viaggiare lontano. Non smette di cercare: qualcosa, qualcuno.
Ascoltavo questa cassetta in una fiat ritmo azzurra insieme a mio padre. Lui che era un grande fan di Lucio Dalla ed aveva avuto la lungimiranza di vederlo nel cinema teatro di Maglie, il mio paese nel cuore del Salento. Quando erano in pochi a seguirlo e ammirarlo.
Era il 1969, in un tour che lo vede in diversi comuni del Salento scortato dall’amico manager Tobia che aveva il compito di assicurarsi che l’esibizione fosse pagata, in un modo o nell’altro.
Quando dissi a mio padre che nel pomeriggio sarei andato a fare un’intervista a Lucio Dalla non poteva crederci. E onestamente anche io non ci credevo fino a quando non siamo entrati nella sua casa di Via d’Azeglio 15.
Una persona umile come ce ne sono poche, soprattutto al giorno d’oggi. Parlammo di cinema perché era quella la tematica del nostro documentario.
Caso vuole che poi non usammo l’intervista, ma la feci comunque vedere a mio padre e a poche persone fino ad oggi.
Il primo marzo del 2012 quando muore Dalla, un suo ex compagno di classe alle elementari, Gianfranco Fusco, pubblica in rete i suoi ricordi su Lucio come fecero in tanti, ma conclude la lettera con una frase mi colpì perché detta da una persona semplice e con semplicità:
“La radio trasmette le sue canzoni. L’arte serve a questo, a lasciare una traccia del nostro passaggio, dopo che siamo andati via.”
È proprio così.
Cosa cercavano gli occhi di Lucio? Cosa cercava nel suo viaggio?
Forse cercava suo padre, forse cercava sé stesso, o forse cercava solo di dare alla gente comune un modo diverso di guardare e ascoltare, il buio e il silenzio.
O magari voleva dimostrare una cosa molto semplice che aveva ragione lui.
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